lunedì 6 dicembre 2010

Il salotto del martedì - verso "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore", di Raymond Carver


C'è un racconto, tra quelli che compongono il libro di Raymond Carver Di che cosa parliamo quando parliamo d'amore (1981), che apparentemente è la storia sconclusionata di una serie di scatti fotografici, ma rimanda certo a qualcos'altro, perché niente, in Carver, è esattamente quello che sembra.
Il titolo del racconto è Mirino. Il termine, che si riferisce sia all'obiettivo della macchina fotografica, sia a quello del fucile, sembra una giusta metafora per definire lo stile cosiddetto "minimalista", che isola alcuni particolari apparentemente insignificanti per caricarli di senso. Sono racconti, ma anche flash, che ti colpiscono come una fucilata, spesso alle spalle. Più che storie brevi, sono "fotografie narrative", crude istantanee che riprendono un'umanità sconfitta, vittima esemplare di un sogno americano ormai in dissoluzione. Sono storie scritte negli anni '80, eppure sembrano prevedere l'America (e anche l'Italia?) di oggi.
Ne ha parlato la vedova di Carver, Tess Gallagher, intervistata da Curzio Maltese nel giugno di quest'anno. Dice la Gallagher:"Lui si è occupato di gente che viveva sulla propria pelle lacerazioni fondamentali del tessuto sociale, come disoccupazione, alcoolismo, divorzio, debiti, tradimenti, la mancanza di un tetto e vari tipi di abbandono".
Storie perturbanti, racconti "senza trama e senza finale", secondo la lezione cechoviana? Sì, ma anche squarci di verità, improvvise rivelazioni per cui un cancello che sbatte suggerisce un'arcana minaccia, mentre la luce della luna, illuminando le cose di tutti i giorni, ne svela l'altra faccia.
E infine pagine spesso intrise di "pietas", di umana compassione. Sentite come si chiude il racconto che dà il titolo alla raccolta, dopo che i protagonisti hanno discusso a lungo sulle varie specie d'amore:"Sentivo il cuore che mi batteva. Sentivo il battito del cuore di ognuno. Sentivo il rumore umano che facevamo tutti, là seduti, senza muoverci, nemmeno quando la stanza diventò tutta buia".


Matilde Morotti, per il Gruppo di lettura “Il salotto del martedì”

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