martedì 1 ottobre 2013

martedì 21 maggio 2013

Il salotto del martedì - 14 maggio - Casa d'altri, di Silvio D'Arzo

Silvio D'Arzo, Casa d'altri, Einaudi

 Fine d'anno serio e riflessivo, dedicato a uno scrittore forse dimenticato, forse morto troppo presto, uno di quegli autori un po' eccentrici ed isolati (Delfini, Cavani) che ogni tanto spuntano da noi, in Emilia.
Silvio D'Arzo era sicuramente una persona speciale. Figlio illegittimo, legatissimo alla madre (che forse traspare in controluce nel personaggio della vecchia, protagonista di Casa d'altri) desiderava ardentemente la gloria della pubblicazione – ma Casa d'altri uscì postumo - eppure si nascondeva dietro una quantità di pseudonimi. Per vivere faceva il professore e, cosa ben rara anche oggi, riusciva ad incantare gli studenti con spericolati passaggi dai Promessi Sposi alla letteratura inglese, di cui era finissimo interprete. Morì a trentadue anni, di leucemia; è ancor oggi ricordato quasi solo per un'unica opera, che periodicamente suscita l'entusiasmo dei lettori, da Montale a Tondelli.
La storia è così esile che si può riassumere in poche parole: subito dopo la guerra, sull'Appennino reggiano, una povera donna stanca della sua misera vita chiede al parroco una deroga dalla proibizione di uccidersi. Vuole farla finita, ma col permesso della Chiesa. Il prete, condannato da molti anni alla stessa vita senza luce di speranza dei suoi parrocchiani, è prima attratto dal mistero di quella solitudine, poi, quando dopo tante esitazioni la domanda è finalmente espressa, si scopre disarmato ed impotente di fronte alla disperazione della vecchia: non ha più parole, non sa consolarla né dissuaderla né indicarle una certezza. Può soltanto farsi toccare da quella tragedia, che è anche la sua personale tragedia e quella di tutti gli uomini. Non sappiamo se la vecchia, alla fine, si uccide o muore di morte naturale. Comprendiamo solo, assieme al prete, che il mondo in cui siamo gettati è “casa d'altri”, dove stiamo in affitto; e la morte vuol dire tornare a casa.
Tutto questo in una cinquantina di pagine; ma che tensione stringe il racconto, in un gioco di luci ed ombre, silenzi e rallentamenti, simmetrie e rimandi interni. Gli eventi sono minimi (rotola un sasso, passano ombre, il cielo trascolora) ma intrisi di risonanze tutte interiori. È un mondo arcaico, fuori del tempo, su cui incombe un senso di fatalità e di tragedia. Sappiamo fin dall'inizio che ci sarà una catastrofe, che qualcosa succederà, ma quando e come e che cosa, questo non ci è dato sapere.
Naturalmente, dato l'argomento, si è parlato molto di cose che negli anni '50 sarebbero state intese in modo meno laico, come ad esempio il suicidio assistito. Il libro stimola, senza dare certo facili risposte. Qualcuno tra noi vede in questi cuori in inverno la fioca luce di una stoica consapevolezza, più preziosa di una speranza. Ci lasciamo con molti interrogativi, certi però di aver affrontato una lettura significativa.

Matilde Morotti

martedì 23 aprile 2013

Il salotto del martedì - Il buon uso del mondo, di Salvatore Natoli

Salvatore Natoli, Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio, Mondadori, 2010

Il titolo del libro non racchiude in sé il tema trattato. Parlare del “buon uso del mondo” dopo secoli (soprattutto il XX) di azione economica dedita allo sfruttamento selvaggio del pianeta, è impresa ardua, com’è ardua l’inversione di rotta per riportare lo sviluppo su posizioni accettabili e compatibili con il rispetto dell’ambiente.
Natoli parte da lontano, dal “fare e agire” aristotelico; il fare è qualcosa che transita, l’agire permane; il fare, quasi sempre, significa buttarsi nella mischia per sfuggire alla marginalità sociale, l’agire è esattamente l’opposto: trovare la ragione del fare per cambiare. Nell’agire c’è tutto il sapere materiale e intellettuale, che nel lavoro trova la sua realizzazione. Profonda è la connessione tra lavoro e libertà.
Nell’antica Grecia Aristotele vede nell’ozio, che non è il dolce far niente, una capacità di saper impiegare il tempo. Per praticare l’ozio bisogna possedere la sapienza, il valore, la moderazione, in breve la virtù.
Come gruppo ci siamo soffermati a lungo su questo punto: l’argomento era troppo interessante per non discettare e riflettere sul perché del moderno significato dis-attivo dell’ozio, dello staccare la spina. Alla considerazione del lavoro come fatica si contrappone il non far niente come recupero delle energie psico-fisiche.
Homo oeconomicus: denaro-produzione-consumo, circolo vizioso o benefico, dipende dai punti di vista: già nel XVIII secolo si era capita l’importanza di tale motore; Montesquieu: “Se i ricchi non spendono a piene mani, i poveri moriranno di fame”. La crisi odierna fotografa un’identica situazione, basta sostituire “ricco” con “classe media” e l’attualizzazione è fatta.
Veniamo al significato più stretto del titolo, che allude alla sostenibilità dei consumi: Natoli chiama in causa Spinoza, quando delinea il profilo della “condotta razionale”, poiché la filosofia non è astratto pensiero, ma criterio di vita, criterio regolatore della condotta degli uomini. Il consumo non è male se si inserisce nel “buon uso del mondo”. Consumare con giudizio. Gli individui devono acquisire competenza per capire quale tipo di consumo fa crescere e quale vizia. A mio modesto avviso il discorso diventa pedagogico e aleatorio: consumare cose utili o inutili, valutare l’indispensabile e il superfluo… si potrebbe andare all’infinito senza giungere a conclusioni. Natoli cerca agganci col pensiero sociologico contemporaneo di Serge Latouche, ma non riesce a dipanare la matassa tra consumi che fanno bene al mondo e consumi dannosi. Se pensiamo ai paesi emergenti che stanno crescendo a ritmi vertiginosi e non badano troppo al buon uso del mondo, come possiamo noi Occidentali che per secoli abbiamo consumato di tutto e di più salire sul pulpito e predicare decrescita, sobrietà, frugalità a miliardi di persone che lavorano per qualcosa di più del nulla?
Per Natoli neanche un discorso di etica può configurare una condivisa visione del mondo in senso antropologico; troppo spesso la si confonde con l’osservanza delle regole e delle norme, come un fastidio formale. Natoli riscopre nell’ethos il posto da vivere, di cui avere cura. A tale scopo, ancora una volta chiama in causa Aristotele: “l’uomo è un animale politico”, quindi è la politica che consente agli uomini di cooperare tra di loro in vista del bene comune.
Infine, nel capitolo dedicato alla democrazia, Natoli cita Pareto quando parla della vocazione delle élite ad esercitare il potere , ma anche della necessità del ricambio delle stesse per evitare degenerazioni della democrazia.
Utili appaiono gli accenni alla rete come mezzo di informazione e non di formazione. Inoltre Natoli vede bene un ritorno all’associazionismo, nelle sue svariate forme: partito, volontariato, comitati…, mezzi utili ad allargare la sfera pubblica dei processi formativi e decisionali della politica.

Tarcisio Maracchioni

venerdì 19 aprile 2013

Sotto lo stesso tetto - 13 aprile - Cassandra, Christa Wolf

Con la lettura di Cassandra di Christa Wolf siamo giunti al termine del ciclo di incontri Sotto lo stesso tetto dedicato al tema della famiglia nella letteratura contemporanea tedesca. Nel corso di questo viaggio intrapreso lo scorso ottobre in compagnia degli attori de  Il ratto d’Europa e di un folto gruppo di appassionati di letteratura, ci siamo addentrati in diversi luoghi ed epoche storiche per esplorare i lati più oscuri dei rapporti familiari non potendo evitare di raccontare anche qualcosa di noi stessi. Ci siamo lasciati con un’opera moderna che alle famiglie letterarie finora discusse ne ha aggiunto un’altra, la più antica di tutte, la stirpe di Cassandra, discendente prediletta di Priamo, Re di Troia, e di sua moglie Ecuba. Poiché la lettura di un testo continua anche dopo la riunione del gruppo, torno a pormi la domanda che ci siamo fatti sin dall’inizio: perché la Wolf fa rivivere la figura mitologica di Cassandra? Considerando il contesto storico-politico in cui nasce l’opera, ovvero quello della Repubblica democratica tedesca (DDR) all'inizio degli anni '80, è difficile non pensare che Cassandra, imprigionata dai Greci, conquistatori di Troia, sia un pretesto per parlare della propria realtà politica la cui dissoluzione in quegli anni si avverte come imminente. Ripercorrendo a ritroso la storia dell’illustre eroina troiana, la Wolf sembra evocare per mezzo del mito la sua stessa esperienza di donna e intellettuale impegnata politicamente nella DDR, dal cui regime prende progressivamente le distanze, seppur senza distaccarsi definitivamente, in quanto quello Stato, nonostante le sue profonde debolezze, è l’unico a cui si sente di appartenere. Se oggi una parte di noi lettori, come è emerso durante la discussione, ritiene questo testo in qualche modo datato perché tratta alcuni temi storicamente superati, d’altra parte resta il fatto che la stessa dimensione mitologica dell’opera restituisce al suo contenuto quell’universalità interpretativa che ci permette di osservare in maniera atemporale i meccanismi del potere, i suoi strumenti e gli effetti sulla natura umana. Il limite della discussione è stato forse nella tendenza della conduttrice di cercare le chiavi interpretative dell’opera nella critica esistente, piuttosto che lasciarsi trasportare dall’energia del testo. Nonostante ciò la discussione, accompagnata dalla suggestiva voce dell’attrice Donatella Allegro che ha letto alcuni brani dell’opera, è riuscita avvincente grazie alla vitalità del gruppo di lettura che, come sempre, ha sfidato con gusto e curiosità il libro proposto.

martedì 26 marzo 2013

Sotto lo stesso tetto - 16 marzo - La lingua salvata, Elias Canetti

La lingua salvata è il primo dei tre libri di memorie di Elias Canetti, in cui questo celebre scrittore, insignito del premio Nobel nel 1981, ripercorre la storia della propria infanzia e adolescenza dalla nativa Rustschuk in Bulgaria, attraverso Manchester e Vienna fino a Zurigo. Una giovinezza segnata da  frequenti spostamenti, dall’apprendimento delle lingue e culture diverse nei luoghi di nuovo insediamento, ma anche e soprattutto dalla morte prematura del padre che creerà nuovi equilibri nelle relazioni familiari mettendo al centro il rapporto di Elias con la madre. In queste pagine di straordinaria immediatezza e ricchezza letteraria, peraltro magistralmente tradotte dal tedesco da Amina Pandolfi e Renata Colorni, Elias Canetti appunta i ricordi, gli episodi della propria vita cruciali per la formazione della sua personalità poliedrica e della sua successiva concezione del mondo. Sullo sfondo delle grandi tragedie dell’umanità che si consumano negli anni narrati in questo primo volume – le guerre balcaniche, la prima guerra mondiale, la dissoluzione dell’Impero asburgico, la Rivoluzione russa – Canetti racconta l’esperienza profondamente intima della propria crescita all’interno di una famiglia ebraica di vocazione commerciale, ma fortemente attenta a coltivare e a diffondere tra i suoi membri interessi culturali nel campo scientifico, letterario, musicale, artistico. Soffermandosi sui momenti più drammatici e intensi della propria esistenza – i primi divieti e tabù, il decesso del padre e le crisi depressive della madre, i successivi contrasti familiari, il confronto con i compagni di scuola e gli insegnanti nel contesto storico-politico delle società in cui di volta in volta si trovava a vivere - Canetti ci fa riflettere su come il progresso, il miglioramento e l’affermazione dei singoli e la conquista della loro libertà individuale non conosce altre vie se non quelle dei perpetui sacrifici e delle dolorose, seppur necessarie, lotte personali. 

Centrale comunque resta nella formazione di Canetti, come già accennato, il rapporto con la madre sui cui si è incentrata in gran parte la discussione del gruppo di lettura condotta da Audrey Fahrtmann e Iris Faigle. Con la morte improvvisa del padre, la madre diventa il principale punto di riferimento dei figli, in particolare del primogenito Elias che assorbe tutte le sue attenzioni ed energie intellettuali. Il lutto della madre si risolve con il trasferimento al figlio della conoscenza della lingua tedesca, la lingua degli affetti e dell’intimità coniugale nella quale sin dal periodo degli studi viennesi lei amava conversare con il marito. Ma anche questo atto di autopreservazione culturale ed emotiva non è privo di traumi per il piccolo Elias costretto in poco tempo ad apprendere una lingua del tutto incomprensibile. L’accesso al tedesco, a una lingua di cultura, fino a quel momento riservata esclusivamente ai genitori, assicurerà a Elias un posto privilegiato nelle conversazioni con la madre, la partecipazione alla sua vita interiore. È in questa lingua, dolorosamente appresa, che Canetti scriverà il suo primo dramma, farà amicizie letterarie, discuterà sulle questioni del mondo, leggerà i grandi classici della letteratura tedesca, manterrà viva la propria voce.

La rilettura de La lingua salvata, un romanzo per eccellenza europeo, è stata resa ancora più incisiva e stimolante dall'interpretazione giocosa e creativa di alcuni brani da parte dell'attore Simone Tangolo del Ratto d’Europa.

giovedì 14 marzo 2013

Il salotto del martedì - 12 marzo 2013 - La donna giusta, di Sandor Marai


Sándor Márai, La donna giusta, Adelphi 2004

Si può partecipare al gruppo di lettura senza aver letto il libro in esame, oppure avendolo letto soltanto in parte? Si può. Il gruppo di per sé è nutriente; alle volte un buon libro si dimostra penetrante anche se viene soltanto raccontato o commentato dai pochi o i molti lettori presenti nel gruppo; l’entusiasmo o la ripulsa, la passione delle discussioni, i volti accaldati, gli occhi di quelli che l’hanno letto comunicano tanto tanto.
Nella conversazione qualcuno sostiene che La donna giusta è proprio un bel romanzo, interessante, talora difficile per quello che sembra continuamente rivelare e nascondere allo stesso tempo; qualcuno, a questo punto, avvisa il resto del gruppo che le loro prossime letture di Márai, Le braci ad esempio, saranno ancora più straordinarie.
Qual è il tema principale del romanzo? Inizialmente sembra essere l’amore, ancora una volta l'amore: tre monologanti si analizzano e analizzano dal loro punto di vista le relazioni che hanno intrecciato. Un uomo, la prima moglie e la seconda. Relazioni malriuscite, impossibili, psicologicamente per larga parte crudeli e violente. Anche dopo l’abbandono o le separazioni rimangono batticuori, rimpianti, mancati possessi, incompletezze, asprezze.
Le due donne, attraverso il matrimonio con Péter, mettono in moto un’evoluzione profonda della consapevolezza di quello che sono come donne; con la separazione, forse, acquisiscono un’individualità caratterizzante che nel matrimonio era loro negata in quanto schiacciate a interpretare un ruolo.
Marika, la prima moglie ha trovato il rispetto verso la propria indipendenza, verso una vita quieta di piccole sincere gioie senza compromessi, tuttavia non sembra del tutto pacificata, pare mantenere in sé il senso della sconfitta, di non essere stata capace sino in fondo a interpretare l’essenza del vivere borghese del marito e della sua famiglia.
Judit, la seconda moglie, viene da un infimo proletariato, quello che convive col fango e con i topi; incarna un’energia vorace e vendicativa: forte e intelligente, dimostra di saper imparare bene la lezione del vivere borghese, ma comprende che al massimo potrà essere apprezzata come una vincente del demi-monde ; ma Judit vuole affermare se stessa, non sarà mai un possesso del borghese Péter, lei vuole possederlo come gli oggetti di lusso di cui si appropria, senza peraltro esserne veramente interessata.
Péter è nato in una ricca famiglia dell’alta borghesia del centro Europa, che vive come una casta, con tutto lo splendore delle sue “virtù”: eleganza, cultura, cura di sé, del proprio status, tradizione, distinzione; la sua esclusività attrae e respinge allo stesso tempo.
Péter si può inchinare verso una donna, ad un certo punto si inginocchia davanti a Judit, che è stata assunta dalla sua famiglia come domestica, ma appunto abbassandosi ne sancisce l’inferiorità. Gli abiti di Péter, i suoi modi, ogni suo gesto decretano la sua superiorità, che gli viene dal fatto che non ha dovuto imparare ad essere “distinto”: egli è già incarnato nella perfezione del ruolo. Péter non può darsi mai totalmente perché, che lo sappia o meno, il suo compito è di passare a un figlio, in eredità, il privilegio di incarnare la sua separatezza di appartenente alla casta; ogni dispersione gratuita è proibita; una moglie viene coperta di gioielli e di abiti adatti alla “scena” della rappresentazione della superiorità borghese: questo le si può dare.
Ma l’amore è veramente il tema principale o l’unico tema del romanzo? La vita e le relazioni dei personaggi de La donna giusta sono incarnate nella storia del Novecento, dell’Europa che vede il crollo degli Imperi; le due guerre mondiali; il rimescolamento delle classi sociali, del potere e dei beni; l’emergere di nuove individualità senza cultura egemonica, senza tradizione, alle quali, nel mondo occidentale, viene infine offerto il consumismo come risarcimento.
Merita qualche considerazione a parte il personaggio di Lázár, lo scrittore di successo, che nel corso delle vicende del romanzo entra in intimità con tutti i personaggi come ogni buon creatore di storie, ma in realtà sta anche sempre fuori, in disparte, in solitudine e considera con sfiducia l’umanità che ascolta e descrive.
Anche Márai sentiva con forza di avere il compito della scrittura per illuminare la sua e la nostra epoca, ma la sua vera aspirazione era il silenzio nell’isolamento.
Il gruppo di lettura si scioglie; ognuno di noi ha segnato nei propri appunti titoli di libri da leggere per andare più a fondo.

Luisa Magnani

mercoledì 6 marzo 2013

16 marzo - prossimo appuntamento "Sotto lo stesso tetto"

Il gruppo di lettura non richiede iscrizione ed è aperto a tutti!



Hai letto La lingua salvata di Elias Canetti?

Ci vediamo nella Sala conferenze della Biblioteca Delfini dalle 15 alle 17 per confrontare le nostre esperienze di lettura.
L'incontro sarà condotto da Audrey Fahrtmann e Iris Faigle (Scuola DaF Modena).